Il Blog di Pino Grimaldi
Aiap Design Per. International Graphic Design Week | Culture visibili
Roma 2017 | 23 settembre - 1 ottobre
Il design della
comunicazione non sta tanto bene
Giornata di Studi sulla didattica
A cura di Pino Grimaldi e Maria Antonella Fusco,
Tema introduttivo del convegno
VELOCITÀ Gli scenari delle attività professionali mutano con una tale velocità che la formazione non riesce a tenere il passo con la net-society. L’universo accademico è preso dalle proprie autoreferenzialità e riflette troppo lentamente rispetto ai tempi della società della conoscenza.
MUTAMENTO Il
cambiamento continuo dei media e la moltiplicazione esponenziale delle attività dedicate al marketing e alla comunicazione, nel mondo dei social network e del web, richiede profili professionali sempre diversi e mutanti, con competenze multidisciplinari,
competenze per la ricerca, la creatività e le tecnologie.
Oggi occorre studiare, sempre di più e meglio, anche per “legittima difesa”.
I social network accreditano competenze con false scorciatoie cognitive, di cui non
vi è ampia consapevolezza.
CRISI Troppo profonda e troppo strutturale perché “passi”; la crisi non passerà,
forse mai più, perché siamo in presenza di mutamenti epocali ai quali non eravamo abituati, si parla ormai di “stagnazione secolare”.
Ma quello che gli economisti non dicono è che la finanza (ovvero la speculazione sul
denaro che deriva dalla produzione di beni e servizi) è ben oltre il 50% nelle economie dei paesi più “avanzati”. In altre parole pochi speculano e si arricchiscono sulle spalle dei moltissimi che lavorano e producono valore.
LINGUAGGIO Nel design della comunicazione locuzioni obsolete denunciano un’assenza di riflessione teorica evoluta e di produzione scientifica. Alle nuove problematiche, che pressano quotidianamente, la risposta ha tempi che appartengono a vecchi modelli socioeconomici, ma soprattutto con una capacità di analisi e comprensione che è ancora troppo oculocentrica, quando ormai il mondo è globalmente multimodale e multisensoriale, ma anche enormemente digitalizzato.
MARGINALITÀ Il design della comunicazione - nel mondo della formazione accademica pubblica - è ritornato ad essere marginale, come lo era prima dell’entrata del design nell’Università italiana (era solo il 1993). In quasi cinque lustri non vi è stata una adeguata produzione scientifica ed esiste una autentica emergenza culturale.
IL PROGETTO DIMEZZATO L’immenso contesto professionale della formazione nel settore del design della comunicazione vive la dimensione del progetto dimezzato, come il visconte di Italo Calvino. Da un lato agisce un design povero di letteratura scientifica, con troppe aspirazioni di natura prevalentemente estetico-autoriale; dall’altro deborda la comunicazione pubblicitaria, in una dimensione fortemente autoreferenziale ed in un progressivo declino anche per la pervasiva dominazione dei social network. Sono due mondi, uniti solo dall’uso della comune parola “comunicazione”, ma del tutto separati, che si ignorano in tutte le forme, da quelle dell’ associazionismo a quelle della povera letteratura scientifica.
Tutto il sistema accademico del design della comunicazione, nel settore pubblico ormai istituzionalizzato, produce una quantità di letteratura scientifica del tutto inadeguata rispetto alle esigenze del futuro prossimo.
LA DIDATTICA DEL MUTAMENTO In questo scenario chi esercita attività didattica dovrebbe ricercare formule innovative, implementando da un lato il pensiero scientifico, dall’altro recuperando maggiore autonomia rispetto alla debordante dimensione tecnologica e multimodale, nella quale spesso annega il pensiero progettuale della comunicazione.
26 Settembre ore 10:30 -17:00
Roma, Istituto Centrale per la Grafica, Via Poli, 54, Sala Dante
Ore 10:30 Saluti istituzionali
Cinzia Ferrara
Presidente AIAP
Maria Antonella Fusco
Direttore Istituto Centrale per la Grafica, Roma
Ore 11:15 Relazioni
Maria Antonella Fusco
Direttore Istituto Centrale per la Grafica, Roma
Anty Pansera
Storico e critico del design, MIlano
Giovanna Cassese
Presidente ISIA Faenza docente di Storia dell’arte contemporanea
Accademia di Belle Arti di Napoli
Salvatore Zingale
Docente di Semiotica del progetto Dipartimento di Design Politecnico di Milano
Ore 13:15 Pausa pranzo
Ore 14:30 Relazioni Seconda parte
Daniela Piscitelli
Docente di design Università della Campania Luigi Vanvitelli, Napoli
Pino Grimaldi
Docente di Art Direction, Accademia di Belle Arti di Napoli
Ore 16:30 dibattito
Interventi e dibattito
Intervista di Alessandro Siniscalco
(Dalla rivista: Progetto n.1/2016, Ordine degli achitetti di Salerno)
Una città dalle potenzialità enormi e dalla storia dimenticata che investe molto nel marketing territoriale verso l’esterno ma tralascia, sovente, di strutturarsi non mettendo a sistema le realtà sociali ed economiche del luogo, costringendole spesso ad un’affannosa rincorsa condotta con iniziative isolate che invece, incentivate e ottimizzate, eleverebbero a potenza il valore dei pur notevoli sforzi dell’Amministrazione.
Ci riflettiamo su con il Professore Pino Grimaldi, designer salernitano dallo sguardo ampio, esperto di Design strategico della comunicazione, marketing e formazione, nominato Socio onorario Aiap (Associazione italiana
design della comunicazione visiva) nel 2014 insieme a grandi maestri come Pierluigi Cerri, Lora Lamm, Italo Lupi, Armando Milani, Bruno Monguzzi, Heinz Waibl, Enzo Ragazzini e, alla memoria, Massimo Vignelli.
Il suo
ultimo libro Blur design. Il branding invisibile, è proprio sul rapporto tra design e marketing.
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Marcel Proust
AS Una istantanea della nostra città scattata oggi col suo occhio sensibile cosa mostrerebbe?
PG Una
città bellissima, in una posizione geografica privilegiata. Salerno è cerniera tra due realtà straordinarie, Cilento e Costa D’Amalfi, è un Hub naturale per accogliere e ottimizzare due attrattori così importanti in
un circuito che appartiene a poche realtà al mondo. In quale luogo si possono avere, a distanza di mezz’ora, siti memorabili e unici come Paestum e Pompei, testimonianze delle nostre origini greche e romane? E due coste che sono tra i luoghi mitici
del Mediterraneo?
Una città - come tante - che tuttavia non ha molta cura della propria storia e non ha molto a cuore un centro antico, tra i più interessanti del Mezzogiorno.
Una città che non sa ancora “accogliere”,
perché la capacità di accoglienza è il primo aspetto di una vocazione turistica. La cultura dell’accoglienza non s’improvvisa, né può essere affidata allo spontaneismo. Una città che nel periodo delle “Luci
d’autore” non riesce a “ottimizzare” la presenza di una quantità di visitatori, né considerarla come l’effetto di una politica creativa e lungimirante. I salernitani che sanno solo lamentarsi della “folla”,
non riescono a pensare che la “folla” sia un segno di successo e dell’affermazione di una “città come brand”.
Tutto il dibattito - ad esempio - che si segue sui giornali e sul web, finalizzato a ottimizzare il flusso prodotto dalle “luci d’artista” (che io preferisco chiamare “d’autore”, perché l’ideatore non è un “artista”, ma è certamente “autore”), la proposta di un ennesimo inutile marchio, come quella di un soggetto (una Fondazione) per gestire meglio il fenomeno, perdono di vista che il brand è Salerno, non è “luci d’artista”. Questo evento semmai è uno dei tanti “prodotti” che in una politica di marketing più strutturata, il brand Salerno potrebbe offrire, per destagionalizzare le presenze e creare altri “prodotti” da distribuire lungo l’arco dell’anno, ma rivolgendosi anche a segmenti di mercato più “altospendenti”. Attualmente Salerno ha un posizionamento nel segmento che potremmo definire “nazional-popolare” (naturalmente scherzo, ma non troppo).
Personalmente, possiedo un osservatorio
molto particolare per “guardare” la città di Salerno, Quando oltre trent’anni or sono, da Salernitano frequentavo la famiglia di mia moglie napoletana, mi veniva scherzosamente (ma non troppo) richiesto il passaporto; oggi i napoletani
mi riempiono di complimenti per la mia appartenenza ad una realtà molto dinamica. Aver ribaltato l’immagine di una cittadina di provincia, agli occhi di un popolo che ci aveva sempre visto con un pochino di sufficienza, è una svolta storica.
Abbiamo una città che si ha voglia di conoscere, di venire a vedere quello che i media trasmettono; ha certamente funzionato la politica dei grandi interventi architettonici e urbanistici.
Ora, a mio parere, in questa fase storica (oltre a completare
le grandi opere) serve un intervento di marketing più organico e strutturato, oggi la comunicazione è diventata un’attività terribilmente più complessa e tutto quanto deve essere fatto va progettato con la consapevolezza della
complessità, senza dilettantismi diffusi.
Il marketing è un territorio difficile, scivoloso e sconosciuto ai più, spesso proprio a quanti ne parlano. In un convegno sul tema il mio intervento aveva un titolo che faceva il verso al
libro della Naomi Klein (2001): “Marketing territoriale? No logo per favore”. Il mio pensiero è questo: oggi ideare iniziative con obiettivi strategici, partendo
dal logo, è un modello vecchio che poteva andar bene quarant’anni or sono, quando si ignorava l’importanza e la complessità del design e capire che serviva un “logo” (chiamiamolo monogramma, pittogramma, marchio) era già
tanto, ma era prima della rivoluzione digitale e della tracimazione nel web della vita delle persone. Oggi il 98% delle comunicazioni che si producono nel mondo sono di tipo digitale. In Italia, circa un italiano su due (48%) acquista sul web. Che un marchio
basti per promuovere un territorio è un’idea romantica della comunicazione, un’idea di partenza, ma del tutto inadeguata se non accompagnata da una strategia di cui il marchio, seppure importante, è solo una piccola parte del design
system che si declina su “prodotti”, reali e digitali, in maniera molto articolata. I territori, il turismo, si governano con la concertazione dei soggetti che decidono, con iniziative progettate (viene ancora sempre prima il progetto) ma che guardano
alla pluralità degli asset strategici e tra questi l’accoglienza, la customer care, (customer satisfaction in particolare), l’offerta della ristorazione di qualità, la disponibilità logistica di accesso,
parcheggi economici, ricettività qualificata, itinerari e strumenti di comunicazione adeguati, il tutto con una spasmodica cura del pricing, perché oggi il Valore viene percepito tale solo se reale. Su Salerno c’è ogni tipo
di strumento - siti web, materiali promozionali, app - ma tutti sconnessi, mal raccordati e finalizzati, per niente coordinati, con una bassa usability.
Oggi il viaggiatore ha tutti gli strumenti per sapere quanto c’è da sapere,
su ogni cosa, non accetta distonie tra immagine e realtà. Oggi paradossalmente non è l’immagine che si “vende”, attraverso il mondo digitale, si vende più realtà che “pacchi” (come direbbero a Napoli).
Oggi prima dei marchi servono i Piani a breve, a medio e a lungo termine, con dei conti economici in ordine e con dei “prodotti” competitivi. Oggi il viaggiatore, con un euro, deve trovare - a lungomare ad esempio - un bagno pulito, autoigienizzante,
che offra l’idea dell’eccellenza in tutto. Non degli sgradevoli box disperati e sporchi o, peggio, dei cartelli: “il bagno è riservato ai clienti”. “Anche questa è la competitività. Le luci - un “prodotto”
di marketing straordinariamente efficace - passeranno, la città resterà per secoli.
AS Quali le potenzialità inespresse e le cose da “rispolverare”?
PG Mi lasci dire, così ad a istinto, avrei almeno tre temi per non abusare dello spazio. Primo il lungomare. Per Salerno è certamente una realtà inespressa che meriterebbe un progetto di rilancio più determinato e “visionario”. È un luogo romantico, poetico, dove si vive, talvolta, il profumo del mare. Mario Carotenuto ed io - al Catalogo di Lelio Schiavone, nel 1977 - abbiamo dedicato una mostra a Lungomare, con dei disegni tratti dalle mie fotografie. Attualmente non è valorizzato quanto potrebbe, anche sul piano dello sviluppo commerciale. Basta andare sul Pontile di Bagnoli per capire cosa può diventare l’immergersi nel mare di una struttura che ne favorisca l’interazione. Ecco lungomare è una enorme potenzialità inespressa e ferita, anche per la perdita delle palme. Non vi è un solo ristorante “sul mare”, in una città di mare, non le sembra un paradosso? C’è solo un tristissimo manufatto obsoleto, brutto, ormai chiuso, che sopravvive a se stesso, senza funzione né futuro, in assenza di un progetto. Basta guardare che cosa è diventata la spiaggia di Santa Teresa con la sistemazione che “attende” la Piazza della Libertà e il Crescent; in quel caso un architetto sensibile e discreto come Carlo Cuomo ha saputo indicare una strada, le persone la vivono più di tutto il resto, anche un piccolo chiosco offre una minima ristorazione. Estendere questa idea a tutta la litoranea? Naturalmente affiancando risorse pubbliche e private, con punti panoramici “sul mare”, magari tentando di consorziare i ristoratori, unire le energie di molti? Pensare ad una manutenzione costante come parte del progetto.
Un secondo tema è naturalmente il centro antico, vive con poco, di poco, mentre potrebbe diventare un grande “centro commerciale storico”, autentico, con artigianato autoctono, originale, non della paccottiglia orientale (con tutto il rispetto per il popolo e la cultura d’oriente).
Si pensi che oggi le persone vanno a passeggiare nei centri commerciali, anonime scatole senza valore, dove il capitalismo spinto e iperconsumistico offre il suo spettacolo peggiore, per assenza di cultura e povertà di valori. Ma nei centri commerciali c’è confort, sicurezza, shopping, intrattenimento, food, manca “solo” la cultura e la storia.
Il brand Salerno ha generato gadget “a marchio Salerno”; in assenza di un piano, non è riuscito ad intercettare l’artigianato autentico della ceramica - ad esempio - che si produce da noi, come a Vietri. Mettere il marchio su prodotti industriali acquistati altrove è un controsenso del marketing territoriale, il progetto è cercare di valorizzare l’esistente non di commercializzare gadget e prodotti da catalogo, “brendizzati”. Salerno ha molti artigiani-autori, occorre indurli a creare prodotti e commercializzarli in luoghi ideati ad hoc, creando facilitazioni economiche defiscalizzando, incentivando, favorendo la collaborazione.
Un segnale, lo hanno dato i commercianti di via Botteghelle, ma nessuno lo raccoglie,
è troppo flebile, fa malinconia. Una iniziativa apprezzabile, poco comunicata, è l’idea della Fondazione Alfonso Gatto di illustrare le pareti con testi poetici e murales. La realizzazione è forse meno efficace dell’idea, ma
l’idea è bella.
Andrebbe dunque progettata una sistematica segnaletica che possa “trascinare” i visitatori, dal torrente umano che si crea in via dei Mercanti, verso i luoghi più spettacolari del nucleo antico. E poi
le luci e le vetrine. La luce costa meno delle infrastrutture e un piano di Lighting design, per valorizzare angoli e gli innumerevoli frammenti storici, sarebbe una soluzione efficace e a basso costo. La luce crea valore, un capitello, un angolo particolare
(se illuminato con competenza e creatività) non lascia indifferenti i passanti distratti e suggerisce una storia antica, frena il degrado perché incute rispetto.
Anche l’area di Castel Terracina, Il Castrum Terracinae, voluto da Roberto il Guiscardo dopo il 1076, di cui sopravvivono frammenti interessanti di tarsie e archi intrecciati come a Palazzo Fruscione, tutta l’area dell’antico Ortomagno, la cui fruizione è oggi casuale, è tuttavia un nonluogo, direbbe l’antropologo Marc Augè, né restaurato, né degradato, vive così dell’ignoranza e dell’indifferenza; è un’area indecisa, irrisolta perfino come parcheggio, così come tanti altri spazi del centro antico che, anche senza grandi interventi di restauro urbanistico, potrebbero essere resi più attrattivi e “ripuliti” dall’indifferenza verso la propria storia. Non sempre è la mancanza di risorse a determinare l’incuria per una parte della città, spesso l’indifferenza è peggio.
Terzo e ultimo tema è la Scuola medica Salernitana, se vuole terzo “prodotto”, altra occasione per fare di Salerno un polo di riflessione sulla storia della medicina a livello internazionale, come di fatti era la Scuola nel medioevo, raccordo tra oriente e occidente, punto di incontro di culture e saperi senza pregiudizi. Resta solo il “Giardino della Minerva”, che vive la sua notorietà internazionale senza grande sostegno e senza adeguata valorizzazione, per fortuna che c’è chi se ne occupa al meglio, ma quanti salernitani ci sono stati?
AS Una sua visione di Salerno prossima ventura…
PG Se vuole usare la metafora informatica più diffusa: l’hardware esiste già. Tra Santa Teresa e Marina di Arechi vi è necessità di un raccordo e di un intervento di rigenerazione urbana che non richiederebbe grandissime risorse. È il software che manca, serve un piano di razionalizzazione del marketing turistico, anche la ricettività è stata molto implementata, ma Salerno non riesce a comunicare se stessa con la capacità con la quale ha saputo conquistare una nuova immagine dinamica e proiettata verso il futuro. La parola è ottimizzare. Se proprio vogliamo entrare nello specifico “tecnico professionale”, allora diciamo che la città (la sua immagine) è molto più avanti della capacità di comunicare (ma questo non vale solo per Salerno).
Sembra che in comunicazione Salerno sia rimasta ai “marchietti”, mentre la disciplina, sempre più complessa, è migrata verso il marketing, che è un’esigenza ormai inevitabile per lo sviluppo turistico delle città e di qualunque tipologia di business.
Un ultimo “sogno” - per seguire la sua provocazione - è che l’Università di Salerno (si chiama ancora così) torni in città, in qualunque modo. Aver separato il luogo di produzione culturale principale dal tessuto antropologico della città è stata una delle tante battaglie perse dalla sinistra; siamo stati colonizzati dal modello campus (peraltro irragiungibile dai servizi di trasporto pubblico) è stato un errore che fa dire a molti “l’Università di Fisciano”. È come l’aeroporto, si chiama “Salerno Costa d’Amalfi” e non “Aeroporto di Salerno”. La comunicazione è politica.
Per approfondire:
Pino Grimaldi, Blur design. Il Branding invisibile. Bologna, Logo Fausto Lupetti Editore, 2014.
Pino Grimaldi, Dalla grafica al blur design, Electa Napoli, Ivi 2007.
Pino Grimaldi, Il
Piano di comunicazione per la piccola e media impresa. Di tutto quello che non cambia nell’era digitale, Milano, Franco Angeli, 2004.
www.studioblur.it
www.pinogrimaldi.it
La raccolta di city brand internazionali è tratta dalla tesi di Laurea in Graphic design, Accademia di Belle Arti di Napoli, allievo Daniele Rainone, relatore Pino Grimaldi.
(26 febbraio - 16 marzo 2016) A Palazzo Fruscione, a Salerno, l’associazione Tempi Moderni, insieme ad una serie di eventi, dibattiti e tavole rotonde, ricorda la figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini, anche con una mostra fotografica
di Dino Pedriali. Fin qui non ci sarebbe nulla da commentare se non apprezzare l’iniziativa alla quale il Comune di Salerno ha dato un sostanziale contributo. Bene, ci piace, siamo contenti. Dove la cosa ci piace un po’ meno - per cui forse potrà
risultare utile scrivere qualche breve riflessione - è nel considerare la mostra una “produzione” dell’associazione.
Dunque, due o tre considerazioni, di questa che è una interessante e apprezzabile iniziativa, vorrei brevemente
delinearle.
Primo. Che si utilizzi la parola “produzione” per una serie di fotografie che girano il mondo, l’editoria, le gallerie dalla metà degli anni settanta ad oggi, utilizzate in tutte le occasioni per ricordare un autore
tra i più poliedrici, interessanti e intriganti del Novecento, e che una dozzina siano state recuperate e stampate oggi, non vuol significare produzione. Pare proprio che la distinzione tra “produzione” e “consumo” nelle attività
di promozione culturale sia particolarmente complessa.
“Produrre” una mostra, fotografica nella fattispecie significa, a mio parere, affidare un incarico ad un fotografo, chiedergli di documentare un evento, un sito, oppure di individuare
nella propria produzione, nel proprio archivio, del materiale inedito, studiarlo, proporne una interpretazione, una lettura critica e, infine, mostrarlo al pubblico, come il frutto di una elaborazione ulteriore, rispetto al lavoro dell’autore, non mettere
in fila delle fotografie, particolarmente note.
Secondo. Che si propongano una novantina di fotografie con inquadrature, in qualche caso solo apparentemente “sciatte” (complice il personaggio che la sapeva lunga davvero), ma in qualche altro
caso alquanto “semplici”, considerandolo un nuovo evento, è un po’ poco. Non a caso, basta guardare le foto dove non c’è il personaggio, per ritrovarsi ad ammirare il nobile e rispettabilissimo lavoro di un fotografo.
Dello stesso autore c’è tutto pubblicato da tempo nei suoi libri, cito a memoria: Pier Paolo Pasolini,
Magma, Roma (1975), con un testo di Janus; Pier Paolo Pasolini Testamento del Corpo, Arturist, Venezia, 1989; poi, forse un suo lavoro più interessante: Hammamet, il bagno del piacere, 1994, insieme a molte altre monografie
dell’autore. Forse negli anni Settanta un Pasolini nudo aveva qualche effetto, ma oggi è semplice storia del costume e, naturalmente, del personaggio.
Chi conosce Ugo Mulas ed il libro New York arte e persone, Longanesi 67, capisce
cosa significa fotografare gli artisti e quale impegno formale e concettuale, compositivo ed espressivo occorra per dare “valore” alle immagini, inoltre comprenderà cosa vuol dire confezionare un prodotto editoriale con un grande maestro
del design come Michele Provinciali. Oppure chi conosce il lavoro di Mapplethorpe può comprendere quale complessità tecnico espressiva e quali emozioni possa suscitare un nudo.
Terza e ultima considerazione (ma che un po’ prescinde dall’autore): se non ci fossero Pasolini, o Man Ray, nelle foto di un autore, queste meriterebbero la stessa attenzione? Ecco, forse oggi questo è uno dei limiti della fotografia non finalizzata.
Ricordo che Bonito Oliva, negli anni Settanta,
quando seguivamo i suoi corsi nell’Istituto di Storia dell’Arte diretto da Filibero Menna, con Rino Mele e Angelo Trimarco, ci ribadiva costantemente come un mantra: “l’arte è tutto ciò che viene riconosciuto tale dal
sistema dell’arte” e questo autore è certamente riconosciuto ampiamente dal “sistema dell’arte”, dunque non è dell’autore che si discute, ma delle sue fotografie.
Ora che la tecnologia, la dirompente
dimensione, digitale, ha cancellato ogni difficoltà tecnica e ciascuno produce centinaia e centinaia di foto, tra le quali certamente si riesce sempre a trovare qualche “buona immagine”, ha ancora senso la fotografia (quando non è
fatta per scopi specialistici) come linguaggio? Come forma espressiva? O non sono piuttosto i soggetti a determinare l’attenzione e la considerazione delle immagini di ogni autore? Esasperando il concetto, posso fotografare un “grande artista”,
magari anche in maniera sciatta e banale, saranno sempre le foto di un “grande artista”, dunque un documento più storico che estetico. Ma sarà sempre il valore estetico intrinseco a determinare la qualità delle immagini, che
sia famoso o meno il soggetto, conta meno.
Ecco un bel tema per una tavola rotonda tra “addetti ai lavori”.
Parafrasando il Geppi Gambardella di Paolo Sorrentino direi anch’io che: “Oggi una “bella” foto non
basta più”.
Infine. Anche le polemiche in merito alla questione dei contributi che l’Amministrazione comunale ha stanziato, mi sembrano francamente note piuttosto oziose. Quanto ha avuto questo, quanto ha avuto quello, chi di
più, chi di meno, perché mai a Tizio e non a Caio. Pasolini si, Alfonso Gatto no, il “Pierpaolo” che ha avuto più spazio del “merito”. Ma dove sarebbero queste proposte “strepitose” che l’Amministrazione
non avrebbe finanziato? Quali clamorose mancanze e omissioni sarebbero da considerare? Ne vedo poche di “strepitose” iniziative ignorate, soprattutto vedo lo spazio dei media locali usato più con la filosofia della prossimità che
del merito e del valore degli eventi. A mio parere sono gli eventi culturali che andrebbero valutati nel merito, non i finanziamenti che hanno ricevuto. Ma discutere del merito e non degli aspetti accessori è un metodo.
È partita la campagna elettorale a Napoli di Gianni Lettieri, candidato Sindaco della città.
Il modello che appare evidente dalle prime immagini che circolano è quello del marketing politico di matrice berlusconiana. Questa
volta tuttavia, contrariamente al livello assertivo-persuasivo-paternalistico, vi è un maggior impegno sul versante che definirei di “difesa preventiva”.
In generale il Cavaliere parte in maniera assertiva e autorevole, nel caso di specie invece il candidato si manifesta palesemente orientato a controbattere - preventivamente - le eventuali critiche alla sua personalità. Si tratta di una campagna multisoggetto che utilizza una struttura più o meno sillogistica per affermare, o meglio per controbattere, le presumibili affermazioni dei suoi avversari politici, ma tradotte nel buon senso comune.
Il format è un teaser (il verbo inglese to tease, significa stuzzicare), è un’attesa che introdurrà, probabilmente, la campagna vera e propria, almeno così funziona nella teoria della comunicazione e nei modelli di comunicazione pubblicitaria.
Intanto il sillogismo (un po’ forzato) è questo: il claim “Lettieri sindaco?” è una domanda la cui affermazione positiva implicita è affidata ai fumetti di 15 testimonial popolari, di diversa estrazione sociale. Dunque la risposta implicita nell’argomentazione fumettistica è un “sì”. Se Lettieri è tutto questo che dicono i suoi testimonial è il candidato sindaco giusto.
Il progetto complessivo sarebbe interessante (non innovativo come si autodefiniscono
sul web gli autori) perché esprime da subito una intensa cross canalità integrata, che si autoamplifica tra social network e siti web. Sono stati attivati diversi siti e “presenze social” che interagiscono con le affissioni
e approfondiscono le argomentazioni e le tematizzazioni. Come sembra, da fonti giornalistiche, sono le liste che sosterranno il candidato del centro destra: “Prima Napoli”, “Riformisti per Lettieri”, “Fare Città”
e “Giovani in corsa”. Anche in questo, spiace dirlo, ma i nomi non possiedono alcun elemento di innovazione e sono anzi la solita affrettata lista di denominazioni piuttosto abusate e scontate. È l’approccio tipico di chi non crede
veramente che la comunicazione politica è la politica e non affronta ricerche più impegnative per trovare dei titoli all’altezza della partita in gioco.
Peccato, come dicevo, che l’impostazione sia una “difesa
preventiva”; si può ragionevolmente immaginare che in una fase più calda della campagna elettorale compariranno le argomentazioni più sostanziali di un programma che certamente non mancherà.
Per ora ci limitiamo ad analizzare
queste prime affissioni.
La struttura grafica un po’ classica presenta la foto del testimonial a sinistra, con il fumetto contenente il tema e si chiude con una firma, una freccia (che immancabilmente punta verso l’alto) che rimanda ai social
e ad uno dei siti web dal titolo “primanapoli.it”.
Alcuni dei 15 testimonial annunciati, espressi da una segmentazione giusta e accurata dei target più probabili, sono singolarmente ingenui e tentano di sovvertire i luoghi comuni più
consumati che potrebbero essere usati contro il candidato.
Purtroppo la banalizzazione eccessiva e la troppo ricercata semplificazione argomentativa rende il tutto piuttosto ingenuo e controproducente.
Questi i temi: “Parla sempre delle cose
da fare ma lui le farà davvero”. (Barista).
“Abita nei quartieri alti ma farà molto per le periferie. Lui viene da lì”. (Casalinga).
“Veste come mio nonno ma crede in noi giovani” (Studentessa).
“Sarà pure uno che ha fatto i soldi ma, per i nostri figli, il lavoro lo sa creare”. (Agente immobiliare).
Purtroppo io credo che persino i napoletani più ingenui non credano più alla favola dell’imprenditore di
successo che sa creare anche posti di lavoro, melassa che ha funzionato per il primo Cavaliere.
Il 23 Dicembre 2015 è mancato Peppe Natella.
Questo è il mio ricordo
Caro Peppe,
Non sono riuscito a scriverti subito, come la creanza avrebbe voluto o come l’affetto e l’amicizia che ci ha legato,
per più di mezzo secolo, avrebbe imposto.
Ma è paradossale quello che ci è accaduto.
Non ci sentivamo, non ci vedevamo per mesi, poi ogni incontro era come se ci fossimo lasciati il giorno prima, il minuto prima.
Con te non ho mai provato il senso della distanza, il passare del tempo, degli anni.
Ti ho sempre ritrovato amico, vicino e pronto per ogni nuova avventura.
Eri sempre il mio compagno di banco, il mio compagno di scuola, il mio collega
di lavoro, il mio amico problem solver, perché con te ogni problema da risolvere era sempre “già risolto”.
Sei stato il mio compagno delle indimenticabili notti prima degli esami. E come se gli anni non ci avessero allontanato,
con te ogni ricordo era sempre vivissimo, sorgeva dalla tua memoria lucida e ogni racconto della nostra vita, anche lontano, sembrava vissuto solo qualche tempo prima.
Ho pochi amici da così tanto tempo come te, pochi i ricordi ancora da raccontare.
Conosco poche persone ricche, come te, di tutto, competenza e generosità, dedizione e umanità, semplicità ed esperienza, professionale, di vita, di lavoro. E di valori.
Poi ad ottobre, quando ci siamo rivisti, mi hai raccontato che
non stavi tanto bene e per quelle assurde vicende della vita ci siamo sentiti in molte telefonate, io rammaricato di disturbarti e tu infastidito delle mie esitazioni, mi hai fatto sentire una persona cara, che “poteva disturbare”.
Lasciami
dire che mi sei molto più caro di quanto io stesso avrei mai pensato. Per fortuna quello che hai saputo creare resterà, e sarà un dono per tutti noi.
E per la città di Salerno.